Gasherbrum IV: Walter Bonatti e Carlo Mauri
Testo e registrazione di Francesco Antonio Bossini all'esordio in Andata e Ritorno
Erano stati giorni lunghi e quello che Carlo e Walter si stavano apprestando a realizzare era con ogni probabilità l’ultimo tentativo. A quota 7.000m, dove era stato posizionato il sesto ed ultimo campo, era ormai impossibile ingurgitare qualsiasi cosa solida e l’unica alternativa per non rimanere a stomaco vuoto era un po’ di misero e tiepido tè. Impensabile bollire l’acqua con quel freddo e il risultato era un’acqua sporca che del tè aveva vagamente il sentore. Erano ormai le 02:30 del mattino del 6 Agosto 1958. Dalla precedente esperienza in Karakoram, Walter aveva imparato che in quei luoghi persino i minuti erano una grande ricchezza. Per non parlare delle ore. E più passava il tempo, più ci si impoveriva. Da questa regola non sfuggiva nemmeno il Gasherbrum IV, la montagna scintillante.
Il Gasherbum IV è la diciottesima vetta al mondo per altezza e si trova nell’omonimo massiccio del Gasherbrum, nella catena del Karakoram al confine tra Pakistan e Cina. Per poche decine di metri non fa parte della prestigiosa lista degli eight-thousanders, ovvero le quattordici vette che superano gli ottomila metri. Si tratta tuttavia di 7932m di pura poesia e i pochi tentativi di scalarla sono stati accompagnati da altrettanti limitati successi. A oggi, Settembre 2024, sono solo quattro le ascensioni registrate coronate da successo e la comunità alpinistica considera questa montagna come una delle più ostiche che si possano affrontare. A rendere complicata l’ascesa sono molteplici fattori, tra cui la massiccia presenza di seracchi e l’impossibilità di trovare un itinerario anche solo apparentemente semplice e sicuro. Da qualsiasi punto si affrontino i suoi pendii, la montagna richiede infatti eccellenti doti di arrampicata su misto.
A rendere leggendaria questa vetta è però la sua bellezza, qualità insita nel suo nome. Il termine Gasherbrum deriva infatti dalla lingua balti e dall’unione di due parole, rgasha, che significa bellezza, e brum, montagna. Gasherbrum può quindi essere tradotto come “la bella montagna”. Se il nome suggerisce qualcosa, a confermarne la grazia è piuttosto la sua presenza. La peculiare posizione, alla testata del Ghiacciaio Baltoro, permette infatti al sole di illuminarne la ghiacciata parete Ovest, un gioco di luce grazie al quale il Gasherbrum ha ottenuto l’appellativo di montagna scintillante. Chiunque cammini sul Baltoro si trova questa piramide lucente di fronte a sé e gli occhi vivono un’estasi sensoriale che si irradia nella mente e nel petto. A completare l’opera d’arte sono poi le altre montagne tutte attorno, la cattedrale delle Torri di Trango, la massiccia e severa Muztagh Tower, sua maestà il K2 e il Chogolisa, il giaciglio eterno di Hermann Buhl. (Sarebbe bellissimo un riferimento di due tre righe, se ti andasse, a Hermann). Il leggendario scalatore e alpinista austriaco, che aveva raggiunto per primo e in solitaria, la vetta del Nanga Parbat, aveva da poco toccato la vergine cima del Broad Peak, assieme a Kurt Diemberger. La spedizione si spinse anche sul Chogolisa, dove tuttavia Buhl incontrò la morte. UNa cornice nevosa crollò, trascinando nel vuoto Hermann Buhl. Nonostante le ricerche, il suo copro non venne più ritrovato.
Per Walter Bonatti scalare il Gasherbrum IV era una sorta di rivincita, anche se questo sentimento non gli apparteneva. Quattro anni prima, nel 1954, sul K2 aveva vissuto un’esperienza umana deludente e negativa e il bivacco che dovette affrontare a più di 8000 metri assieme all’Hunza Mahdi minò per sempre lo spirito di quel ragazzo allora ventiquattrenne. Per Bonatti il Gasherbrum IV rappresentava quindi un riscatto, nei confronti non tanto di qualcuno, ma per se stesso. La montagna era per Walter luogo in cui soddisfare quel bisogno innato che l’uomo ha di misurarsi, di provare, di conoscere e di conoscersi. Bonatti affermò che nel Baltistan e nelle sue esotiche valli montuose, durante l’avvicinamento al Gasherbrum, ritrovò il vero Shangri-La di Kipling, una riserva terrestre esente dal progresso e dalla cattiveria umana, un piccolo paradiso custodito tra il mistero delle più alte montagne del mondo. Questa esperienza gli sarebbe servita quindi per sentirsi più vivo, libero, in un certo senso realizzato. Tutto ciò gli era mancato quattro anni prima: sul K2.
Il Gasherbrum IV è una montagna veramente magnifica e insieme diabolica, da qualunque parte la si guardi. La vetta è una cresta lucente come il cristallo, incredibilmente affilata. Facile rimanere abbagliati da tale bellezza. Il Gasherbrum è un colosso colorato da graniti rossi, calcari grigi, gialli, neri e marmi rossicci, verdastri e bianco lucente. Un arcobaleno di roccia. In questo modo Bonatti descriveva le pareti che tanto lo misero alla prova. Anche solo trovare la via ideale di salita richiese infatti molto tempo e studio. Venne immediatamente stabilito che il Gasherbrum IV non possedeva punti deboli. Per scalarlo si sarebbe dovuto fare l’impossibile.
Giugno e Luglio passano tra tentativi fallimentari e continue lotte contro il tempo e contro le ripidi pareti della montagna scintillante. È ormai metà Luglio quando tutta la spedizione si ritrova al campo base. Il primo vero tentativo è andato a vuoto. Non sarebbe un grosso problema, se non che per creare le condizioni di approccio alla vetta sono state utilizzate molte risorse ed energie. Walter e Carlo Mauri sono dentro alla tenda principale con tutti i partecipanti, seduti uno affianco all’altro. Tra questi anche l’indissolubile Riccardo Cassin, nelle vesti di capospedizione. Tra Walter e Carlo c’è un’intesa rara e non servono troppe parole. Quando uno dei due prende parola, l’altro è naturalmente concorde. Il mindset è lo stesso, il modo di pensare uguale. Vi furono momenti in cui si chiesero il motivo che li aveva spinti fino a lì, in mezzo alla bufera e davanti a rocce invalicabili. Per molti giorni sembrava una partita persa, quasi inutile andare avanti. Una onesta resa sembrava la scelta più saggia. Anzi, non partire sarebbe stato ancora più ragionevole. Ma il tempo gira e le previsioni ottimistiche ricreano nuove condizioni. Walter è in piedi fuori dalla propria tenda e sta osservando i pinnacoli della vetta con le mani in tasca, aggrottando la fronte e socchiudendo gli occhi per vedere più nitidamente. Un nuovo tentativo sarebbe possibile… Ad un tratto arriva Carlo che si affianca a Walter e comincia a scrutare allo stesso modo la cresta della cima. Non c’è bisogno di dire nulla. I due sono connessi e dopo qualche tedioso giorno passato al campo base sono a rapporto da Riccardo Cassin. Le condizioni sembrano favorevoli per un nuovo tentativo.
Torniamo a quel mattino del 6 Agosto. Bonatti e Mauri si apprestano ad affrontare una serie di difficoltà già incontrate nel tentativo precedente. Dopo la Cresta delle Cornici ecco la Torre Grigia, poi la Terza Torre, il Camino Penoso e ancora la Torre Ultima e la Torre Nera. Gli ostacoli sembrano non finire più, quando davanti ai due si innalza un’ombrosa fenditura di marmo di 10 metri. Liscissima. Si sarebbe rivelato uno dei passaggi chiave dell’intera scalata, il Camino Bianco. Da qui in poi la scalata concede un po’ di tregua ai due. Poi verso metà mattinata, Walter e Carlo raggiungono l’antecima. Ad accoglierli, una visione sublime e spaventosa allo stesso tempo. La vetta effettiva appare lontana almeno 300 metri e si collega all’antecima per mezzo di un’ampia e aerea conca lucente, come la sottostante grandiosa parete Ovest sulla quale declina. Dall’altra parte invece, sul versante orientale, la cresta si spinge nel vuoto con insidiose cornici che sembrano lambire il cielo. La traversata della conca è difficoltosa e un’ultima parte liscia richiede uno sforzo sovrumano a quote proibitive. Alle 12:30, superato anche l’ultimo ostacolo, Walter Bonatti e Carlo Mauri riescono a posare i propri piedi sulla vergine cima del Gasherbrum IV, realizzando una delle imprese alpinistiche più clamorose di sempre. Da questa prima volta a oggi sono soltanto tre le spedizioni capaci di raggiungere la cima. Nessuno, ad oggi, ha mai ripetuto la via di Bonatti e Mauri. Se si volesse comprendere questa impresa e il perché essa sia stata coronata da successo si capirebbe che, un ruolo chiave, l’ha sicuramente avuta la volontà di crederci fino in fondo. La ricerca dell’avventura è una sorta di slancio creativo, un’epifania dall’altissimo valore pratico, al pari dell’impresa stessa. Bonatti, prima di realizzare qualcosa, lo immaginava, lo proiettava nella sua mente. È la genesi del pensiero che permette poi all’avventura e all’impresa di realizzarsi. L’aver poi concretizzato la scalata dopo averla riflettuta è solo una naturale conseguenza, certamente non più valida dell’averla concepita. È grazie a questo modus operandi che Walter riusciva a realizzare imprese memorabili e fuori dal suo tempo. Per meglio capire cosa Bonatti si è inventato, rendendo possibile l’impossibile facciamo intervenire una persona che in quelle settimane l’ha visto molto da vicino. Partecipava a quella spedizione anche Fosco Maraini, in qualità di documentarista. Proprio il celebre antropologo e orientalista avrebbe a posteriori descritto Bonatti con una battuta passata alla storia: “C’è poco da dire: Bonatti è un Dio. Quando tocca a lui vedo il puntino rosso della sua maglia che avanza, vorrei dire senza sforzo, certo con decisione e leggerezza uniche, fino al punto di sosta; gli altri a paragone sono creta e terra, umile carne umana”.
La storia del Gasherbrum IV non finisce con l’exploit di Walter Bonatti e Carlo Mauri, ma come accennato in apertura, le tappe successive dell’essere umano su questa vetta sono davvero poche. Da una parte perché, essendo le difficoltà tecniche elevatissime, i tentativi sono stati limitati; dall’altro perché anche quei pochi tentativi hanno incontrato enormi difficoltà. Per attendere la seconda ascensione bisogna infatti aspettare quasi trent’anni. Solo nel 1986 un team misto australiano-statunitense riuscì nell’impresa di raggiungere la vetta, aprendo la cresta Nord-Ovest, itinerario che venne ripetuto nel 1999 da una spedizione sudcoreana.
Una menzione particolare la merita l’ascensione del 1997, la terza in ordine cronologico. Una spedizione sudcoreana riuscì infatti nella clamorosa impresa di raggiungere la vetta passando nel grembo della parete lucente, attraverso lo sperone centrale. La famigerata parete Ovest rappresenta ancora oggi una delle sfide alpinistiche più difficili a livello mondiale: 2500 metri appesi tra sogno e realtà. Se ai Sudcoreani va il merito di aver portato a termine questa impresa, bisogna però ricordare i due visionari che per primi affrontarono e superarono questa parete